E’ utile filtrare l’acqua di rubinetto?

Secondo le linee guida elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità, i dispositivi per il trattamento dell’acqua destinata al consumo umano non hanno né una finalità di “potabilizzazione” perché sono applicati ad acque già idonee al consumo umano, né una valenza sanitaria in quanto la qualità dell’acqua del rubinetto è disciplinata da una specifica norma (Direttiva UE 2020/2184) che fissa i parametri chimico-fisici-microbiologici che la rendono idonea al consumo in tutte le diverse fasi della vita.

Il loro principale utilizzo è di modificare le caratteristiche organolettiche dell’acqua, odore e sapore: il modo più semplice è quello di attaccare, direttamente al rubinetto di casa, filtri “a matrici attive” (resine a scambio ionico o carboni attivi) in forma cartucce o dischi mono o pluri-uso rimpiazzabili che, per effetto di reazioni-interazioni chimiche, riducono il cloro residuo responsabile del cattivo odore o sapore; in alternativa si possono utilizzare caraffe filtranti. Se l’idea è di acquistare un filtro per evitare l’acqua in bottiglia, tenendo conto del costo iniziale e di manutenzione degli apparecchi, ci sarebbe sicuramente un vantaggio sia economico (102 vs 139 euro annuali) che di sostenibilità ambientale; è pur vero che questo costo potrebbe essere ridotto a zero se teniamo conto che, per ridurre il cloro, è spesso sufficiente lasciar riposare l’acqua, per esempio in una brocca o in una bottiglia, prima di berla, evitando così anche il rischio di contaminazione microbica a cui è soggetto il materiale filtrante se non periodicamente sostituito o ricostituito.

L’altro aspetto sui cui agiscono questi dispositivi è la durezza dell’acqua principalmente legata alla presenza di sali di calcio e magnesio. L’addolcimento dell’acqua, utile a salvaguardare gli elettrodomestici, sembra non essere così vantaggioso per la salute umana: esso infatti ridurrebbe il contenuto di minerali in traccia aumentando quello del sodio, aumenterebbe la corrosività dell’acqua (a causa dell’abbassamento del pH) sulle tubature con il rischio di rilascio di cadmio e piombo, aumenterebbe il rilascio e perdita di minerali dal cibo, se l’acqua “addolcita” viene usata per cucinare gli alimenti, e infine, secondo alcuni studi epidemiologici, sarebbe associato ad aumento di incidenza e/o di rischio di morte per eventi cardiovascolari.

I filtri a scambio ionico sono utilizzati anche intrappolare gli ioni nitrato il cui contenuto nell’acqua è in aumento per effetto dell’ampio utilizzo di fertilizzanti in agricoltura; la preoccupazione verso questo composto sta nel fatto che lo ione nitrato, una volta assorbito, può venir trasformato, in ione nitrito, più reattivo e responsabile della formazione di composti potenzialmente cancerogeni; tenendo conto del limite fissato per questi composti, l’acqua però contribuirebbe, secondo i dati del WHO, per meno del 14% al livello totale di nitrati assorbili dell’esterno la cui principale fonte rimarrebbe quindi quella endogena.

Esistono infine dei dispositivi definiti ad osmosi inversa che possono essere utilizzati per filtrare l’acqua da metalli pesanti come piombo, arsenico, cromo, mediante il passaggio delle molecole di acqua contro gradiente di concentrazione, da una soluzione più concentrata ad una meno  attraverso una membrana porosa a permeabilità selettiva; si tratta di impianti piuttosto costosi (attorno a qualche migliaio di euro) e delicati, in grado di bloccare particelle fino a 0,001 µm, caratterizzati però da una bassa efficienza di filtrazione (per litro di acqua filtrata c’è uno spreco di 1 o 2 litri di acqua); il grosso ostacolo di questa metodica è collegato alla bassa concentrazione dei metalli la cui rimozione comporta la perdita di quelli più abbondanti come calcio e sodio (la maggior parte dei sistemi prevede, per ovviare a questo problema, una fase finale di “rimineralizzazione”). Sono per questo allo studio diversi materiali adsorbenti specifici per i diversi metalli o membrane filtranti ad alte prestazioni come quelle al grafene per l’arsenico; per il piombo, liberato per lisciviazione dai materiali dei sistemi idrici, l’OMS propone di far defluire l’acqua dal proprio impianto per qualche minuto prima di utilizzarla (anche se un eccessivo flusso potrebbe avere effetto opposto). L’osmosi inversa sembra comunque essere quella più efficace per il controllo dei livelli di PFAS nell’acqua, una famiglia di sostanze utilizzate dall’industria per le loro proprietà idrofobiche e oleorepellenti che persistono nell’ambiente per periodi molto prolungati senza modificarsi con un impatto significativo sulla nostra salute: la capacità di rimozione dell’osmosi inversa è risultata intorno al 90% rispetto al 70% dei  carboni attivi o scambio ionico (più utilizzati nelle caraffe o nei filtri da rubinetto) e con una minore tendenza rispetto a quest’ultimi, una volta saturati a rilasciare in soluzione parte di quello precedentemente adsorbito.