Primi passi verso il cambiamento: il racconto di un’esperienza

Da qualche anno collaboro, in qualità di nutrizionista, con un’associazione del territorio veneziano che si occupa di offrire vari tipi di servizi alle persone che vivono o hanno vissuto la malattia tumorale e ai loro cari.

Molte di queste persone mi chiedono durante o dopo la malattia quali alimenti privilegiare e quali evitare per ridurre il rischio di riammalarsi, perché accanto alle parole “Mangi quello che vuole o mangi un po’ di tutto” che si sentono spesso dire, c’è la consapevolezza, acquisita prevalentemente attraverso i media, che il cibo influenza la nostra salute; infatti secondo un recente studio pubblicato su una delle riviste scientifiche a più alto impatto che ha visto coinvolte 195 nazioni, 15 categorie alimentari e un intervallo di osservazione che va dal 1990 al 2017, un decesso ogni cinque è dovuto a cattive abitudini alimentari (in primis diete ricche in sodio e povere in cereali integrali, frutta, verdura e semi oleosi) (1).

In questa esperienza ho potuto toccare con mano come, in generale, il cambiamento delle abitudini alimentari passi necessariamente attraverso la conoscenza: per fare una scelta consapevole degli alimenti da portare nelle nostre tavole è indispensabile conoscere la loro origine, il metodo di produzione/coltivazione, l’eventuale stagionalità, tutte informazioni che, acquistando al supermercato, è possibile ottenere solo in parte dalla lettura dell’etichetta.

Per questo motivo, durante quest’anno, a piccoli gruppi, siamo andati a conoscere chi il cibo lo produce, quelli che io definisco i protagonisti della salute perché, accanto a medici, infermieri e personale sanitario, si preoccupano della salute dell’ambiente in cui viviamo e hanno deciso, come scelta di vita, di prendersene cura. Un gesto di grande altruismo e responsabilità collettiva che parte dal presupposto che la salute dell’ambiente è una condizione imprescindibile per quella umana. Siamo andati da alcuni agricoltori del nostro territorio (scelti grazie ai contatti del mio GAS), persone che hanno deciso non solo di lavorare coltivando la terra ma anche di farlo rispettando gli equilibri agroecologici delle specie in essa presenti, in modo da lasciarla in una condizione migliore rispetto a quella in cui l’hanno trovata.

Abbiamo così incontrato Andrea che lavora, assieme a Valentino, presso l’azienda agricola Madre Terra di Caltana di Santa Maria di Sala ed è docente presso la Scuola Esperienziale Itinerante di Agricoltura Biologica; abbiamo visitato i loro campi al finire dell’inverno e abbiamo notato che il verde, il viola, il bianco delle colture autunno-vernine era inframezzato a spazi apparentemente abbandonati ed incolti ma che in realtà sono dimora di specie di insetti utili per tenere lontani i parassiti naturali delle coltivazioni (come alternativa all’utilizzo di fitosanitari); abbiamo visto campi tappezzati dei fiori gialli della Senape, che abbiamo scoperto appartenere alla stessa famiglia di cavolfiori, broccoli e rucola, e che viene interrata, con il metodo del sovescio, per fertilizzare il terreno; siamo entrati così, nella pratica vera (e non solo teorica) della coltivazione di tipo biologico.

Abbiamo raccolto poi le esperienze di Sandro e Alice dell’Azienda Agricola Pecore Ribelli di Oriago di Mira, che accanto alla coltivazione di ortaggi, si sono avventurati nel mondo dei cereali; nei loro campi abbiamo visto farro spelta, farro monococco e un miscuglio di varietà di grani teneri locali che non troviamo nei supermercati perché soppiantate da altre più produttive o più facilmente coltivabili.

Abbiamo visto da vicino il mulino a pietra che utilizzano per produrre le loro farine (da integrale a tipo 1 in quanto non è possibile produrre un ulteriore grado di raffinazione) e abbiamo appreso dai loro racconti il grande lavoro che c’è dietro alla produzione di un kg di farina a partire dalla cura e manutenzione dei silos dove i chicchi vengono conservati fino al loro passaggio nei diversi setacci; abbiamo conosciuto da vicino il farro monococco la cui molitura produce grande quantità di “scarto”: è anche per questo che il suo costo è superiore a quello di tanti altri cereali; Sandro e Alice ci hanno poi spiegato che, per effetto dei cambiamenti climatici, la maturazione delle spighe è stata anticipata di circa un mese e che probabilmente abbandoneranno la coltivazione del mais (coltura che richiede molta acqua) a vantaggio di quella del grano duro, che generalmente cresce nel Centro-Sud Italia, zona più calda e siccitosa.

Incontri preziosi che ci hanno aiutato a capire non solo con le parole ma attraverso gli occhi, il naso e il cuore ciò che sicuramente non possiamo recuperare acquistando al supermercato!

(1) Health effects of dietary risks in 195 countries, 1990–2017: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2017. Lancet 2019