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Lattosio: dove ti trovo?

Approfondimento a cura della dr.ssa Veronica Casilli

Come spesso accade (non soltanto quando si parla di cibo e alimentazione), la scelta di consumare un prodotto piuttosto di un altro è fortemente condizionata dalle informazioni che riceviamo dall’esterno: spesso influenzate da interessi che tengono marginalmente conto delle evidenze scientifiche reali e degli effettivi benefici sulla salute, o a volte gli stessi dati non sono aggiornati o attendibili, creando confusione.

Parlando di intolleranza al lattosio, una delle mode che negli ultimi anni ha avuto successo ed è riuscita a conquistare un vasto pubblico è il consumo di alimenti conosciuti senza lattosio o lactose free. Questa scelta viene fatta non soltanto da parte di un pubblico sensibile ed intollerante, ma sempre più anche da chi problematiche non ne ha. Dall’altra parte si assiste ad una esclusione totale di TUTTI i latticini, pensando che il lattosio sia presente in tutti questi. Un recente progetto pubblicato sulla rivista Foods nel 2021 e condotto dal Dipartimento di Scienze Agrarie di Pisa, ha proprio analizzato il contenuto dello zucchero in questione in ben 25 formaggi.

L’intolleranza al lattosio è eterogenea a livello mondiale dove raggiunge il 70%, così come in Italia dove a soffrirne è circa il 50% delle persone. Consiste nell’incapacità dell’organismo di digerire completamente lo zucchero presente nel latte e nei suoi derivati, il lattosio ( che è un disaccaride composto a sua volta da due zuccheri semplici, glucosio e galattosio) ed è causata da una presenza insufficiente dell’enzima lattasi sulle cellule intestinali. Quando la lattasi non funziona o funziona poco la scissione dello zucchero non avviene, esso non può essere assorbito e compaiono sintomi dati dalla sua presenza e fermentazione: vengono richiamati liquidi nel colon, aumenta la produzione di gas, seguono sintomi locali quali disbiosi intestinale, crampi, gonfiore, meteorismo, e/o sistemici come febbre, nausea, cefalea, eruzioni cutanee….

Ne esistono tre forme, distinte per origine: genetica, transitoria e congenita. Si è comunque notato che in condizioni fisiologiche, la capacità digestiva deriva anche dal mantenimento dell’attività enzimatica, quindi dalla dieta e dalla frequenza di consumo di prodotti con lattosio.

Naturalmente contenuto nel latte, dove è presente in modo ubiquitario in tutti i tipi (il latte umano è quello che ne contiene meno), il lattosio è poi contenuto in alcuni latticini (prodotti derivanti dal latte) in particolare i formaggi freschi, ma si nasconde anche in alimenti “insospettabili”. Questo zucchero è presente nella maggior parte dei prodotti industriali, cibi pronti come zuppe e vellutate, in molti prodotti da forno (sia industriali che artigianali), nei prodotti di pasticceria, in alcuni alcolici, caramelle e snack, sughi pronti, caffè solubili, cereali trasformati, condimenti e dadi, carni lavorate, etc…ma anche in farmaci ed integratori. Leggere sempre l’etichetta di quello che acquistiamo ed informarci sulla composizione è un aiuto per orientarci.

Facciamo focus su quali sono i formaggi e prodotti caseari considerati senza lattosio, e quindi innocui per chi soffre di intolleranza. Si distinguono in due gruppi:

-il primo formato da formaggi molli ricavati a partire da un latte delattosato, ossia che ha subito un processo industriale tramite il quale è stato privato del lattosio

-il secondo è rappresentato dai formaggi stagionati, dove sono l’azione dei fermenti lattici e la stagionatura a trasformare il nostro zucchero e a rendere il prodotto finale, il nostro formaggio, digeribile.

In entrambi i gruppi, di lattosio è contenuto in una quantità inferiore a 0.1 g per 100 g o 100 ml, considerata sicura per l’EFSA.

Per quanto riguarda i latticini delattosati, seguono la stessa produzione dei formaggi tradizionali, ma viene utilizzato il latte delattosato che si ottiene aggiungendo l’enzima lattasi.  La sostituzione totale di questi prodotti a quelli fatti con il latte, sul lungo periodo può essere controproducente, soprattutto per chi non è intollerante o lo è lievemente. Infatti il consumo di piccole dosi di lattosio mantiene comunque una minima produzione di lattasi, che va scomparendo se si mangiano solo cibi che di lattosio non ne hanno, con il rischio di insorgenza o aggravamento dei disturbi.  Il consiglio è quindi sempre quello di conoscere la propria situazione personale, scegliere prodotti semplici e non industriale, consumando quello che fa bene al nostro corpo o che può tollerare in piccole quantità: se la mozzarella mi fa male, non la mangio!

In riferimento allo studio citato all’inizio, di seguito un elenco di formaggi ritenuti sicuri e con un contenuto residuo di lattosio inferiore a 0,001%, quindi ampiamente al di sotto del limite stabilito dall’EFSA.

I formaggi con contenuto di lattosio inferiore allo 0,001%:

Asiago Pressato Fiore Sardo Pecorino Sardo maturo
Asiago D’allevo Fontina Pecorino Siciliano
Bitto Gorgonzola dolce Pecorino Toscano (dai 4 mesi di stagionatura)
Bra Tenero Gorgonzola piccante Piave fresco
Brie Grana Padano⃰ Provolone Valpadana dolce
Caciocavallo Silano Le Gruyére D’alpage Stelvio
Castelmagno Montasio fresco Taleggio
Cheddar Parmigiano Reggiano⃰ Toma Piemontese
Emmentaler Classico Pecorino Romano Valtellina Casera

Tabella tratta dal sito Il Fatto Alimentare.

⃰ già dalla prima stagionatura.

Il direttore della ricerca ha comunque sottolineato che tutti i formaggi, così come tutti i cibi, sono soggetti a variabilità di composizione, nonostante le analisi siano state fatte con strumentazioni molto sensibili ed accurate. Attualmente un ulteriore aiuto è dato dal marchio Lfree apposto oggi su quasi 300 prodotti, ma anche questo a mio parere è ancora un limite: è più semplice ottenerlo per le grandi aziende (sia per questione di costi che per bacino di distribuzione), mentre come al solito per i piccoli produttori potrebbe essere un ulteriore “scoglio”.  L’idea di migliorare le etichette e renderle più chiare, è sicuramente un buon obiettivo, facendolo in modo equo, coinvolgendo tutti i tipi di realtà produttiva.