Vale la pena mangiare biologico?

Spesso quando consiglio ai miei pazienti di acquistare cibo biologico l’obiezione più frequente è: ” Ma Dottoressa…. costa troppo!”

Da un punto di vista strettamente nutrizionale mangiare sano (indipendentemente che sia biologico o non) costa comunque di più rispetto a riempire il carrello con pasta, pane e prodotti confezionati in offerta: questo perché un’alimentazione equilibrata prevede la presenza di alimenti intrinsecamente più costosi come frutta e verdure fresche, le proteine animali come pesce e carne bianca, i semi oleosi (frutta secca) e un buon olio di oliva extravergine spremuto a freddo (che, anche se non bio, costa sicuramente di più rispetto ad un olio di sansa spremuto con solventi!).

Quindi, mangiare sano richiede sicuramente più soldi e più impegno per la preparazione, soprattutto in questo contesto storico in cui il tempo è denaro e siamo abituati al “tutto e subito”.

Ma, a parità di tipologia di alimenti, in effetti, mangiare bio costa di più! Come mai?

I motivi principali sono:

— minor resa delle coltivazioni/allevamenti biologici

— maggior richiesta di manodopera

— necessità di effettuare la rotazione delle colture (per mantenere la fertilità del terreno ogni anno si cambia il tipo di coltura e questo riduce la resa delle colture più richieste, al contrario delle coltivazioni su larga scala che, utilizzano fertilizzanti chimici, possono invece usare lo stesso terreno con le stesse colture ogni anno)

— costi maggiori per fertilizzanti naturali come compost e letame?

— maggiori costi per poter garantire il benessere degli animali

— maggiori costi di gestione post-raccolta (es stabilimenti di lavorazione separati per evitare contaminazioni con il convenzionale, maggiori costi di spedizione dovuti a volumi di merce inferiori, ecc.)

— costi di certificazioni e di adeguamenti per poter esser certificati bio

— maggior rischio di perdite di raccolto

— le aziende sono più piccole e le coltivazioni crescono più lente

— ricevono meno sussidi dal governo rispetto alle coltivazioni convenzionali.

 

La Organic Farming Research Foundation (Fondazione per la ricerca sull’Agricoltura Biologica) ha spiegato che: “Il prezzo del biologico riflette più da vicino il vero costo della coltivazione del cibo: sostituire la manodopera e coltivare in maniera intensiva con i prodotti chimici, fa si che i costi per la salute e l’ambiente siano poi a carico della società”.

Il bio costa di più rispetto al convenzionale, ma non dovremmo invece chiederci come mai il convenzionale costa così poco? E come mai si chiama “convenzionale” quando in realtà si tratta di un’agricoltura recente visto che l’uso di pesticidi si è diffuso a partire dagli anni ’50? Prima di allora l’uomo ha coltivato e allevato solo e soltanto con metodi naturali, pazienza ed esperienza…

Sarebbero molti gli spunti di riflessione e gli argomenti da eviscerare, ma torniamo alla domanda iniziale: come mai il bio costa di più? E vale la pena acquistare prodotti bio?

Per rispondere ho chiesto aiuto ad un amico: l’agricoltore e blogger Michele Migliorino. Ecco la sua storia:

“Ho cominciato a fare l’agricoltore quasi per caso, in seguito ad una “svolta ecologica” che ho avuto qualche anno fa. Ho partecipato ad un incontro e di colpo mi si è fatto chiaro qual è il nostro destino su questo pianeta se continuiamo ad utilizzare i combustibili fossili e ad alterare il clima della Terra. Poi con degli amici è capitato di poter gestire una fattoria e da lì ho capito pian piano che potevo unire il mio bisogno di tornare alla Natura con un lavoro che mi desse un minimo di reddito, in linea con i miei principi. Dopo i primi entusiasmi mi sono però reso conto, con il passare del tempo, che non è affatto banale fare un’agricoltura realmente sostenibile e dunque biologica. E’ qualcosa di complesso, la cui comprensione è ancora in via di evoluzione da parte di una minoranza di contadini illuminati, che considerano la Natura come qualcosa da studiare continuamente e da cui apprendere.”

 

Michele, come mai coltivare cibo biologico costa di più?

“Viviamo in un mondo alla rovescia, perché a doversi fare la certificazione non è chi usa veleni per produrre il cibo che mangia, ma chi produce alimenti sani. Se ci si pensa, è una cosa folle: è diventato “normale” comperare cibo che è stato consapevolmente “avvelenato”!

Si può dire che in generale il bio costa di più perché i fattori produttivi sono più complessi e che per compensare le rese inferiori rispetto all’agricoltura convenzionale, il mercato del bio deve rialzare i prezzi. L’agricoltura convenzionale si semplifica le cose perché può usufruire di fertilizzanti chimici che permettono di “pompare” le colture in termini di peso e grandezza, che sono gli elementi che più interessano sia all’agricoltore che all’agroindustria. Tuttavia la pianta difficilmente potrà dare un prodotto sano se viene nutrita in maniera eccessiva e solo con certi elementi. Sarebbe come nutrire una persona solamente con della pasta! Abbiamo bisogno di diversi tipi di minerali, seppure in dosi minimali (oligoelementi), per favorire il funzionamento corretto del nostro corpo e restare sani. Il modo naturale per assumerli è farlo mangiando le piante: abbiamo la stessa costituzione di ciò che mangiamo!”

 

Aggiungo che ci sono diversi studi che hanno dimostrato come i vegetali bio siano più ricchi di sostanze bioattive (ad es. http://archive.foundationalmedicinereview.com/publications/15/1/4.pdf ), mentre quelli animali come i latticini sono più ricchi di omega3 (es. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/22430502/ ). Purtroppo gli studi sull’alimentazione sono complicati a causa di molti fattori confondenti (come il diverso terreno di coltivazione, le condizioni atmosferiche e le condizioni del terreno), ma a parer mio è logico supporre che una piantina selvatica o coltivata senza “aiutini” debba procurarsi le sostanze nutrienti da sola e quindi ne succhierà di più dal terreno; oltretutto produrrà più antiossidanti per proteggersi dai predatori e ne sarà quindi più ricca! Allo stesso modo i prodotti di origine animale saranno più nutrienti perché gli animali in libertà mangeranno più erbe spontanee (ricche appunto di nutrienti, antiossidanti e omega 3 in alcune specie) e saranno meno soggetti ad infezioni (con conseguente ridotto o nullo utilizzo di antibiotici che favoriscono poi nell’essere umano l’antibiotico resistenza).

Quello del bio è davvero un costo aggiuntivo se paragonato alle spese sanitarie ed ambientali?

“E’ chiaro che se mangiamo del cibo veramente biologico, allora è lecito presumere che nel tempo ci ammaleremo di meno e che dunque spenderemo meno in farmaci e spese sanitarie. Per fare un discorso serio di questo tipo (e magari esiste già) sarebbe credo necessario studiare per un certo periodo di tempo dei soggetti che mangiano tutti lo stesso cibo, cioè proveniente dalla stessa fattoria, e dei soggetti che mangiano cibo da supermercato. Perché dico lo stesso cibo? Perché l’assenza di chimica (residui di pesticidi, diserbanti, insetticidi, ecc.) in ciò che mangio, non è ancora un requisito sufficiente a definirlo realmente “biologico”. Un’analisi potrebbe trovare che in un alimento bio, ad esempio, c’è una presenza eccessiva in nitrati (o peggio ancora in nitriti che generano cellule cancerogene) o in metalli pesanti, che si bioaccumulano nell’organismo. Questo dipende dall’agricoltore, dalla sua attenzione e cura in ciò che fa. Anche l’agricoltore biologico deve stare attento ad esempio a concimare con le giuste quantità, utilizzando sostanze organiche di qualità e sicura provenienza. Se utilizzo letame bovino per concimare i miei campi, devo assicurarmi che provenga da un allevamento in cui la vacca mangi per lo più erba e non venga continuamente sottoposta ad antibiotici perché si ammala frequentemente. Quegli antibiotici difficilmente permetteranno ai microrganismi di processare ed elaborare il letame in un prodotto finale equilibrato del quale io poi possa essere sicuro.

Per non parlare degli effetti poi che si possono avere sull’ambiente. Per rimanere sul tema del letame, se non viene sversato nei campi in maniera corretta si possono avere accumuli di nitrati nei fiumi e nelle falde acquifere, con grave inquinamento dell’acqua che beviamo. Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, anche qui il discorso è complesso. Se le pratiche con cui tratto il suolo ne aumentano la fertilità e il contenuto in carbonio organico e humus, allora la mia agricoltura sarà doppiamente biologica perché oltre a produrre alimenti sani avrò contribuito a stoccare nel suolo una parte di quella CO2 che le nostre scellerate attività antropiche stanno riemettendo in atmosfera dopo milioni di anni di stoccaggio spontaneo ad opera della natura. Ma anche qui è facile ingannarsi, perché dovrò essere certo che l’energia di cui ho usufruito per produrre le mie colture non sia inferiore all’energia che ho prodotto in termini di calorie, altrimenti addio “carbon farming”. Per chiarire il concetto: se durante il processo produttivo ho usufruito in abbondanza di energia da fonti fossili, difficilmente riuscirò a rimediare alle emissioni prodotte tramite un semplice campo di ortaggi! Dovrò piantare un equivalente in alberi che compensino l’energia che ho utilizzato, ma difficilmente lo farò. Così capiamo che la questione di un’agricoltura sostenibile implica delle questioni ben più complesse nascoste nella semplice alternativa biologico si, biologico no.”

Alla fine vale la pena mangiare bio?

“In base a tutto quello che ho detto fin’ora, a mio avviso, ne vale la pena solamente se si ha la pazienza e la volontà di instaurare un rapporto reciproco di fiducia col contadino. Parlare con lui, farsi spiegare come lavora, magari fare insieme delle visite in campo. Altrimenti come possiamo sapere da dove viene il cibo? Dato che oramai non possiamo essere sicuri nemmeno delle certificazioni, cosa ci resta se non tornare alla fiducia reciproca? E’ facile finire manipolati dalle logiche del mercato. Oggi l’industria tende sempre di più a travestirsi di verde (greenwashing) perché ha fiutato che c’è domanda di prodotti sani e che siano sostenibili per l’ambiente. Per questo bisogna stare attenti oltre che a riconoscere il vero biologico a non farsi ingannare dalla dizione “sostenibile” che compare su certi prodotti. Così ti dicono magari che le galline sono “allevate a terra” e tu sei contento senza sapere che magari poi sono polli ibridi commerciali (detti Broiler) il cui accrescimento è così veloce da produrre una carne di pessima qualità. Oppure ti tolgono l’olio di palma solo perché è aumentata la sensibilità sul tema ambientale, e tu non ti accorgi che al suo posto hanno messo un altro olio, magari di girasole, e che per produrlo si è dovuto deforestare un pezzo di foresta primaria in Brasile per creare un’immensa monocultura di girasole!”

 

Come risparmiare, quindi?

“Una maniera molto interessante sarebbe creare una food-coop, sull’esempio del Bronx a New York dove ne esiste una (e a Bologna, si chiama Camilla). Con l’aiuto di soci, che oltre ad essere consumatori sono anche volontari e “donano” poche ore al mese di lavoro allo scopo di collaborare alla manutenzione, sarebbe possibile creare un supermercato i cui costi di gestione sono più bassi e così anche i prodotti finali. Altri vantaggi sarebbero una grande riduzione nello spreco di cibo e la possibilità di decidere da sé collettivamente quali aziende favorire a livello locale. In tal modo tutti ne beneficerebbero.

I Gruppi di Acquisto Solidale non sembrano funzionare bene se non dall’ottica del consumatore, ma è importante capire che non si deve cercare di “tirare sul prezzo” del lavoro del contadino. Forse ancora non è chiaro che i contadini sono ancora l’ultima ruota del carro della società e che l’agricoltura è un’attività estremamente fragile e vulnerabile, oggi più che mai di fronte al cambiamento del clima. Dovrebbe essere la cosa che tuteliamo di più se fossimo più saggi, perché è da questo che dipende la nostra sopravvivenza!”

Oltre ai consigli di Michele aggiungo che un ottimo modo per risparmiare è quello di acquistare le materie prime piuttosto dei cibi trasformati (ad es. legumi e cereali secchi invece che pre-cotti, farine per produrre pasta e pane, verdure e frutta fresche, uova, farine, frutta secca per preparare biscotti fatti in casa e altro ancora…).

Altri modi sono dedicarsi all’autoproduzione ove possibile (es. pane con lievito madre, pomodori in terrazzo, piccolo orto se c’è dello spazio verde, ecc.), mangiare molti cibi vegetali e consumare con meno frequenza cibi animali come pesce e carne (soprattutto se sono di allevamento intensivo!).

Attenzione anche al fatto che bio non significa sano! Basti pensare alle bibite gassate bio, merendine e patatine bio, ecc.: la cosa positiva è che i cibi certificati bio non dovrebbero (salvo frodi) contenere additivi, conservanti e pesticidi, ma possono comunque contenere zuccheri o sciroppi di zuccheri, grassi modificati come le margarine o molecole cancerogene che si sviluppano con le cotture ad alte temperature (frittura).

Spero che la lettura dell’esperienza di Michele vi sia stata utile per avere il punto di vista di chi ogni giorno ha letteralmente “le mani in pasta”, anzi, “le mani in terra” e che possa almeno far riflettere su come dovremmo cambiare mentalità e ritmi di vita per rendere il mondo un luogo davvero sostenibile!

Ringrazio Michele e vi invito a dare un’occhiata al suo blog: https://appelloperlaresilienza.wordpress.com/ .