Giugno 8, 2020 / Stili di vita
Come scegliere la pasta?
Approfondimento della dr.ssa Michela Trevisan
Scegliere la pasta e capirne la qualità è un’operazione molto più difficile di quanto possiamo immaginare. Avrete notato com’è evoluto il mercato e come sono evolute le etichette della pasta della grande distribuzione in questi ultimi anni: fino a un decennio fa circa al supermercato potevamo scegliere solamente tra pasta bianca di diverse fasce di prezzo, poi sono iniziati a comparire prodotti integrali, volti soprattutto al mercato delle persone che devono perdere peso, successivamente sono comparsi i prodotti con claim sulla salute, proponendo prodotti biologici rivolti a chi cerca di essere più attento alla propria salute, e prodotti senza glutine, rivolti a chi ha problemi di salute. Un’ulteriore evoluzione è stata la comparsa di pasta di grani diversi come il farro e il Kamut® (notate il simbolino di marchio registrato!), rivolta al mercato di persone più sensibili alla salute propria e dell’ambiente, che iniziava a notare la difficoltà a digerire la pasta “normale” e a farsi delle domande sulla provenienza del grano utilizzato per fare la pasta. Negli ultimi anni il mercato è esploso proponendo, anche nelle fasce di prezzo e di qualità più bassa, pasta prodotta con grano 100% italiano, pasta di grani antichi e di legumi. Ma come possiamo orientarci in questo ginepraio per acquistare un prodotto che sia buono non solo per il palato, ma anche per la nostra salute e che sia sostenibile per l’ambiente in cui viviamo?
Partiamo dal kamut®
Il grano kamut® è un grano a marchio registrato, che viene venduto quindi ad un prezzo più elevato perché bisogna pagare le royalty (come avviene nei capi di abbigliamento) e che viene coltivato solamente in Canada, non può essere coltivato in nessun’altra parte del mondo. Non ha nulla da invidiare a qualsiasi dei grani antichi che vengono coltivati in Italia, che costano molto meno, e, grazie al minor numero di km percorsi, hanno un impatto ambientale di gran lunga più basso. A differenza di quello che pensa la maggior parte delle persone, il suo contenuto di glutine è elevato e questo è il motivo per cui viene utilizzato volentieri dall’industria per produrre pasta, e dai panifici e dai pizzaioli che sono abituati a lavorare con farine di forza, ovvero ad elevato contenuto di glutine. Difficilmente vedrete al supermercato una pasta di grani antichi e ancor meno in pizzeria una pizza di solo farro o di solo monococco, perché i grani antichi hanno un glutine meno elastico e sono più difficili da lavorare.
Integrale sì ma…
Siamo portati a pensare che integrale sia sempre sinonimo di salute, e di fatto lo sarebbe se i prodotti in commercio fossero prodotti rispettando alcuni importanti criteri produttivi, ma nella maggior parte dei casi questo non avviene. E così ci ritroviamo che la pasta integrale, come anche il pane, non fa sempre bene. Il primo punto importante è la coltivazione e la conservazione del grano. Se sul grano sono stati fatti trattamenti chimici in campo o durante la conservazione, questi si depositano soprattutto sulla parte esterna e quindi la crusca risulterà la parte più inquinata. Inoltre se la pasta non è lavorata nel modo adeguato è un prodotto da evitare perché, come vedremo più avanti, diventa un alimento demineralizzante, ovvero che impedisce l’assorbimento di calcio, ferro ed altri minerali.
Prima di tutto vediamo quali sono i passaggi di produzione della pasta secca
Il grano viene setacciato e macinato, e qui è il primo passaggio determinante perché se la macina è metallica la farina verrà surriscaldata durante la molitura e avremo di conseguenza una perdita di sostanze nutrizionali del germe. Se invece la macina è a pietra, la frantumazione del grano avverrà a temperatura molto più bassa, conservando inalterate tutte le sue proprietà.
La farina a questo punto verrà impastata e durante questa fase le proteine del glutine, interagendo con l’acqua, formeranno la rete glutinica che tratterrà, soprattutto in fase di cottura, l’amido presente nella farina.
Ora si dà forma alla pasta! L’impasto viene fatto passare nelle trafile che daranno la forma alla pasta. Il metallo con cui sono fatte le trafile non cambia la qualità della pasta. Se le trafile sono in bronzo avremo solamente una pasta che assorbe meglio il sugo, ma per la nostra salute non ci sarà differenza. Dopo questa operazione l’impasto conterrà circa il 30% d’acqua, troppa per essere conservato correttamente e quindi va sottoposta ad essiccamento, l’umidità finale non deve essere infatti superiore al 12,5%, e questa è la fase più delicata della produzione della pasta e anche quella attualmente meno evidenziata dalle etichette, di fatto se la temperatura di essiccazione è troppo elevata verranno compromesse le sue proprietà salutari.
Nella produzione casalinga la pasta viene essiccata all’aria impiegando un tempo abbastanza lungo, oltre le 24 ore; da quando la produzione della pasta è diventata industriale, ovviamente il tempo in cui la pasta viene essiccata è diventato economicamente importante ed inoltre, già dagli anni ’70 si è visto che, aumentando la temperatura di essiccazione fino a 80-85°C la pasta tiene di più la cottura e, grazie alla riduzione dei tempi di essiccazione, si può aumentare notevolmente la produzione. Così man mano la temperatura di essiccazione è aumentata fino ad arrivare attualmente oltre i 100°C.
Cosa succede a queste temperature?
Le trasformazioni che avvengono nella pasta sono numerose e nessuna porta ad un miglioramento dal punto di vista nutrizionale, ma bensì a numerosi peggioramenti come spiega bene il professor Benedettelli, professore associato del Dipartimento di scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente dell’Università di Firenze. Benedettelli segnala che, già sopra i 50°C avviene la denaturazione dei polifenoli, importanti sostanze antiossidanti. Quando si superano gli 80°C, inizia a formarsi la furosina, una sostanza pericolosa, che i produttori però non sono tenuti a indicare in etichetta. La furosina è uno degli AGE’s (Advanced Glycation End-product), ovvero un prodotto della reazione di Maillard che si verifica durante la cottura a secco a seguito della reazione chimica tra le proteine e gli zuccheri presenti nella farina di grano. Questi composti sono gli stessi che si formano sulla crosta del pane dando il caratteristico colore brunito. Per legge, la furosina va monitorata solo nel latte e nei formaggi mentre per gli altri alimenti non è previsto un valore limite. In generale bassi contenuti di furosina (entro i 200 mg/per 100 g di proteine) indicano un’elevata qualità nutrizionale e l’adozione di blandi trattamenti termici. Queste sostanze quando vengono ingerite sopra una certa soglia concorrono all’innesco di diverse patologie come il diabete tipo 2, ma anche patologie legate al sistema nervoso, oltre a aggredire i villi intestinali, alterando la loro integrità strutturale e funzionale con il risultato di compromettere la digestione. L’alterazione dell’integrità intestinale è il primo passo verso l’insorgenza di intolleranze alimentari e allergie. La reazione di Maillard avviene preferibilmente a carico di residui di lisina, un amminoacido essenziale (di cui abbiamo bisogno per sopravvivere) che nei cereali è già presente in bassa quantità che verrà ulteriormente ridotta; pensate che passando dai 70 agli 80 gradi nel processo di essiccazione, la perdita di lisina schizza dal 29 al 47%.
Oltre a questo, quando la temperatura di essiccazione è superiore ai 50°C, viene denaturato un enzima molto importante: la fitasi. Questo enzima svolge un’azione molto importante perché degrada l’acido fitico presente nella crusca e di conseguenza favorisce la liberazione dei minerali come ferro, calcio, zinco, ecc. che verranno poi assorbiti dal nostro intestino. Se invece la pasta è essiccata velocemente, l’acido fitico rimarrà inalterato, e sarà impossibile assorbire i numerosi minerali presenti nella crusca. Oltre a questo poiché l’acido fitico mantiene un potenziale chelante, se noi condiamo la pasta con il parmigiano, parte del calcio del formaggio verrà sequestrato all’acido fitico.
Lo stesso problema si pone per la pasta di legumi e per le paste senza glutine.
Come capire se la pasta è essiccata a bassa temperatura
Potete farvi un’idea sulla temperatura di essiccazione guardando il colore della pasta, se la pasta è stata essiccata a temperature elevate avrà un colore più giallo per la presenza dei prodotti della reazione di Maillard, come avviene nella crosta del pane. Poi c’è anche un trucchetto semplice, suggerito sempre dal professor Benedettelli: mettete un pezzo di pasta in un bicchiere, se dopo 12 ore l’acqua sarà ancora limpida significa che la pasta è essiccata a temperatura elevata.
Bibliografia
Giannetti V. et al, «Furosine as a pasta quality marker: evaluation by an innovative and fast chromatographic approach », Journal of Food Science, 7, 1750-3841 (2013).