Proteggiamo il nostro futuro!

La copertina del settimanale Internazionale di un numero di gennaio riportava l’articolo “un mondo senza insetti. Cosa succederà al pianeta e agli esseri umani se gli insetti continuano a diminuire.” L’articolo molto interessante, la cui lettura mi ha impegnato per una buona mezz’ora in treno, iniziava con la storia di un professore danese che andando in bici si è accorto che mancava qualcosa: gli insetti. Ricordava di come da bambino fosse normale trovarsi qualche insetto in bocca andando in bici nelle campagne o di come il parabrezza della macchina durante l’estate fosse spesso sporco di insetti; ora questo non succede più. Con quella storia ho effettivamente realizzato di come anni fa fosse normale vedere moscerini, lucciole, farfalle e di come ora sia diventata normale la loro assenza. Un intero mondo di insetti sta scomparendo e serve che qualcuno ce lo faccia notare! In Europa, quasi metà delle specie di insetti è in grave declino e un terzo è in pericolo di estinzione: il timore è che questa perdita possa influire sulla vita del pianeta in modi imprevedibili.

Pensiamo agli impollinatori, le api e altri insetti pronubi, che in natura svolgono un ruolo vitale come regolatori dell’ecosistema, recando importanti benefici e servizi ecologici per l’intero pianeta: con l’impollinazione questi insetti svolgono una funzione strategica per la conservazione della flora, contribuendo al miglioramento ed al mantenimento della biodiversità.

Circa il 75% delle colture globali di frutta e semi a consumo umano dipende, almeno in parte, dagli impollinatori; l’impollinazione sostiene la produzione di 87 delle principali colture alimentari del mondo, garantendo circa il 35% della produzione globale di cibo.

Più del 90% dei principali tipi di colture mondiali sono visitati dagli Apoidei (la famiglia degli imenotteri di cui fanno parte le api), circa il 30% dai ditteri (tra cui le mosche), mentre ciascuno degli altri gruppi tassonomici visita meno del 6% delle colture. Alcune specie di api vengono domesticate, come le api “da miele” (Apis mellifera, occidentale e Apis cerana, in oriente), alcuni calabroni, certe api senza pungiglione o solitarie, ma la stragrande maggioranza delle 20.077 specie di apoidei conosciute al mondo sono selvatiche. Proprio il declino di queste specie selvatiche ha reso fondamentale per alcune colture la presenza/domesticazione delle Apis mellifera.

Ma oltre che per le piante coltivate, la presenza degli impollinatori è necessaria per la flora selvatica: la fecondazione delle piante selvatiche e spontanee riveste un’importanza assai superiore a quella della fecondazione delle piante coltivate, poiché le piante selvatiche sono le responsabili della conservazione e dell’incremento della biodiversità, condizione essenziale per mantenere un terreno fertile e salubre, adatto quindi alla produzione di cibo. Il progetto di ricerca Mediterranean CooBEEration, promosso da Felcos (Fondo Enti Locali Cooperazione Sviluppo) e Apimed (Associazione Apicoltori del Mediterraneo) e finanziato dall’UE, che ha coinvolto centri di ricerca italiani (DISAFA, Università di Torino e DIPSA, Università di Bologna) e tunisini (INAT, Tunisi) tra gli anni 2014-2017, ha preso in esame ambienti degradati (zona colpita dal fuoco in Italia e zona semi-arida in Tunisia) per investigare su biodiversità vegetale, comunità di impollinatori, interazione fiore-ape e servizio di impollinazione fornito dalle api (e dagli altri impollinatori). Ha dimostrato l’incidenza dell’azione dell’ape sul mantenimento della biodiversità: “La cospicua produzione di semi correlata con la presenza dell’ape e il potenziale di diffusione dei semi stessi, non solo nelle parcelle oggetto di studio, ma anche nelle zone limitrofe tramite l’opera di vettori animali e di agenti fisici, è un sicuro indice dell’incremento della biodiversità in relazione all’attività di Apis mellifera nelle aree degradate scelte per la sperimentazione.”

Senza gli impollinatori molte piante potrebbero estinguersi e la produttività attuale si potrebbe mantenere solamente attraverso l’impollinazione artificiale, a costi elevatissimi (Ispra).

Negli ultimi anni in Italia si sono registrate perdite di api molto maggiori di quanto osservato in passato e in Europa alcune specie sono minacciate di estinzione.

COLOSS (Prevention of honey bee COlony LOSSes – prevenzione della perdita di colonie di api) è un’associazione internazionale non-profit sita a Berna, Svizzera, che si occupa di migliorare il benessere delle api a livello globale. Questa associazione raccoglie a livello globale, tramite questionari, i dati sui tassi di perdita delle colonie di api durante l’inverno; per quel che riguarda l’Italia i dati raccolti sono pochi, solo 395 apicoltori hanno fornito dati di perdita validi per l’inverno 2016/2017 e 352 per l’inverno 2017/2018, ma i risultati sono comunque interessanti. Nel primo anno il tasso di perdita globale di colonie di api è del 19,2%, con differenze marcate tra le regioni, mentre l’anno successivo è salito al 29.4%, che significa una perdita di oltre 3600 colonie (solamente tra quelle che hanno aderito allo studio). Questo dimostra come la situazione stia peggiorando di anno in anno.

Le cause di questa moria sono diverse e spesso vi è una combinazione di fattori: inquinamento ambientale, cambiamenti climatici, agricoltura intensiva, eccessivo sfruttamento del suolo, utilizzo di fitosanitari, alimentazione, impoverimento genetico, ecc.

L’agricoltura intensiva, le tecniche agricole poco sostenibili, la variazione della destinazione d’uso dei terreni provocano perdita di flora spontanea e di aree di bottinamento per le api, quindi penuria di fonti alimentari per gli alveari, e provocano inquinamento ambientale per l’uso diffuso e inarrestabile dei pesticidi, i quali sono un’altra causa di moria delle api. Inoltre l’inquinamento ambientale dato da questi fattori e dalle emissioni di industrie, allevamenti, trasporti è concausa della moria e causa anche dei cambiamenti climatici, a loro volta dannosi per la salute dell’alveare. Quando fa troppo freddo l’ape non può impollinare, idem se piove a lungo: basti pensare a questa primavera, che con freddo e piogge protratte per tutto il mese di maggio hanno fatto sì che le api non abbiano potuto nutrirsi e moltiplicarsi.

Ulteriore causa sono i metodi di apicoltura convenzionale di uso comune tra hobbisti e professionisti che, seguendo una logica di profitto, hanno dato spazio ad allevamenti intensivi per accrescere la produzione di miele e altri prodotti dell’alveare con tecniche nocive per le api: sottrazione di troppo miele all’alveare che avrà quindi necessità di essere nutrito con zucchero e derivati amidacei di riso, frumento e mais, i quali non sono un’alimentazione corretta per le api, provocando una maggiore vulnerabilità nei confronti di patogeni (protozoi, virus, batteri e funghi); nomadismo (l’ape è per natura stanziale), vendita di pacchi d’api, sciami artificiali o regine importate che contribuiscono a diffondere virus e patologie, selezione di maschi per la riproduzione, uso regolare di antibiotici (in Italia sono vietati). Si è diffuso in Europa e anche in Italia il “Colony collapse disorder” o sindrome dello spopolamento degli alveari: la maggior parte delle api operaie abbandona l’alveare lasciandosi alle spalle regina, covata, poche nutrici e abbondanti scorte di cibo; la causa non è univoca, sembra che il fenomeno avvenga per stress, contaminazione chimica, avvelenamento da pesticidi (anche i famosi neonicotinoidi), infezioni, stress, malnutrizione, esposizione ai campi elettromagnetici. Non meno importanti sono poi altri pericoli per questi importanti insetti che derivano da parassiti, come Varroa destructor, Aethinia tumida, Vespa velutina.

Ambiente, agricoltura, biodiversità, impollinatori, sono tutti concatenati: un ecosistema per l’appunto. La difesa dell’ambiente passa per la salvaguardia della vegetazione, che a sua volta è impensabile senza l’ausilio degli insetti impollinatori, anello di importanza primaria della catena ecologica globale.

Come molti studiosi sottolineano, dobbiamo cambiare subito il nostro modo di scegliere il cibo e di produrre cibo per evitare che la maggior parte degli insetti arrivino all’estinzione entro pochi decenni.

Cosa possiamo fare nel nostro piccolo per invertire questa rotta? Impegniamoci ogni giorno in un’azione virtuosa come la scelta di cibo non trattato, la scelta di alimenti non imballati per evitare inutile packaging inquinante, la scelta di uno spostamento in bici anziché in auto, il seminare fiori in giardino o in balcone, il sensibilizzare altre persone all’importanza della tutela della biodiversità, il non usare insetticidi in giardino. Piccole ma grandi azioni quotidiane per proteggere il nostro futuro.

“Come l’ape raccoglie il succo dei fiori senza danneggiarne colore e profumo, così il saggio dimori nel mondo.” – Buddha

 

 

Per approfondimenti:

https://coloss.org/

http://www.fedapimed.com/pdf/convegno_bologna/Sessione%201%20-%20Intervento%202%20Bologna.pdf

http://www.isprambiente.gov.it/it