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La dieta della plastica

In occasione della settimana “senza plastica”, iniziativa lanciata dalla pagina Zero Waste España, pubblichiamo l’articolo a cura della dr.ssa Veronica Casilli, biologa nutrizionista

“Vivere senza plastica oggi non è un invito ma un’esigenza. Urge un cambio di rotta nello stile di vita di ognuno di noi. Nel 2050 il peso della plastica nei nostri mari supererà quello dell’intero ammontare dei pesci”

Questo dato è allarmante, ma è la realtà. Ci siamo ridotti nel 2020 ad essere preda del nostro stesso “voler troppo”: comodità, sicurezza, possibilità di varietà e cosi l’uso della plastica è aumentato esponenzialmente: negli ultimi anni per venire incontro alle nostre richieste lei avvolge, protegge, isola, garantendo maggior igiene grazie all’opzione “usa e getta”, praticamente realizza qualsiasi nostro desiderio di comodità, velocità e salubrità.

Fermatevi un attimo e osservate attorno a voi: oggetti di uso comune per la casa, imballaggi per il cibo, vestiti e scarpe (tutti i capi tecnici sportivi), giocattoli, automobili, contenitori per detergenti, prodotti per l’igiene personale, borse per la spesa. Viviamo immersi, come possiamo pensare che non abbia implicazioni dirette sulla nostra vita?

La produzione globale di plastica è aumentata di quasi 200 volte in pochi decenni (da 1,7 a 335 milioni di ton, tra gli anni ‘50 e il 2016) e così i suoi rifiuti, di cui oltre 8 milioni di tonnellate sono riversati ogni anno nell’ambiente.

E’ entrata così a far parte della catena alimentare nascondendosi nei cibi che mangiamo. Infatti dalle macro-plastiche che inquinano gli ambienti terrestri e marini, si originano, come prodotti della loro degradazione, le famose micro plastiche di dimensioni inferiori ai 5 millimetri e poi le nano plastiche inferiori ai 100 nm, che sono invisibili ad occhio umano e sono parte dell’ecosistema diffondendosi ovunque: nell’acqua, nell’aria, nel terreno ed entrano nella catena alimentare umana per inalazione o per ingestione, in particolare di crostacei e molluschi.

Per essere più precisi, si distinguono due tipi di microplastiche: le primarie che nascono già tali perché impiegate nell’industria, nei prodotti per l’igiene come i detergenti per mani e viso, dentifrici, cosmetici, prodotti medicali; le secondarie sono invece quelle che derivano dalla scomposizione delle macroplastiche, che avviene sia nel mare che nella terra per effetto di processi di degradazione ambientale, meccanica e chimica (erosione, azione delle onde, abrasione, fotoossidazione, temperatura, corrosione..).

Le micro plastiche sono in grado di veicolare sostanze chimiche pericolose, contaminanti ambientali che possono venire incorporate sulla loro superficie durante il loro uso e la permanenza nell’ambiente, alcuni esempi sono come stirene, metalli tossici (piombo, mercurio), ftalati, bisfenolo A (BPA), policlorobifenili (PCB) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

Con questi dati, è ovvio che non è più solo un problema di inquinamento ambientale, ma una vera emergenza per la salute umana.

Ad oggi si sa che l’esposizione può avvenire attraverso il cibo che mangiamo e l’aria che respiriamo. Gli scienziati stimano che ognuno di noi ingerisca in media circa 32mila frammenti di plastica ogni anno. Questo dato arriva da una ricerca pubblicata su Enviromental Science & Technology e lo conferma uno studio condotto dall’Università di Medicina di Vienna dove sono state ritrovate le nano particelle nelle feci delle persone coinvolte.

Una delle prime fonti alimentari di microplastiche sono gli organismi marini: pesci, molluschi, bivalvi, crostacei che le ingeriscono o le assorbono per filtrazione, il che comporta un falso senso di sazietà e una sottoalimentazione da parte degli animali, scarsa crescita, perdita di peso, difficoltà riproduttive e trasformazione etologica.

Gli alimenti contaminati non si limitano al solo pesce: circa il 6% della plastica che ingeriamo ogni anno viene dal sale, alimento che può essere considerato un vero e proprio indice dell’inquinamento dei nostri oceani.  Anche zucchero, miele, birra e prodotti caseari, per non parlare delle sostanze a continuo contatto con il materiale in questione come l’acqua, succhi di frutta, bibite..

Da alcune ricerche pare che l’assorbimento delle micro plastiche attraverso il tratto gastrointestinale degli animali sia relativamente basso e che la tossicità sia limitata.  Le nano platiche (microplastiche più piccole) vengono invece assorbite più facilmente e possono potenzialmente accumularsi nel cervello, nel fegato, nei reni e nell’intestino oltre che in altri tessuti, e che tale tossicità potrebbe potenzialmente influenzare il sistema nervoso centrale, il sistema riproduttivo ed il metabolismo di questi.

Ma quali sono i potenziali danni sulla salute dell’uomo?

Gli studi su esseri umani hanno dimostrato che vi è trasferimento delle microplastiche attraverso l’intestino al sistema linfatico. Inoltre è stato evidenziato un aumento del trasporto delle microplastiche a livello del colon che riflette il grado di permeabilità intestinale, con la potenzialità di creare abrasioni locali, disbiosi e farsi strada avvalendosi di fagocitosi o endocitosi.  Studi in-vitro su cellule nervose umane hanno evidenziato che le micro particelle inducono stress ossidativo.

La reale tossicità e pericolosità delle nano particelle per gli esseri umani è ancora del tutto inesplorata, esistono alcuni studi sui potenziali rischi ma nulla di certo. Ma credo che chiunque con un minimo di buon senso si possa accontentare delle evidenze sulle “sorelle maggiori” per capire che le nano particelle sono anch’esse potenziali veicoli nei tessuti umani ed animale di innumerevoli sostanze tossiche, e per le minori dimensioni anche più insidiose. Il bisfenolo A (BPA) è una sostanza che può migrare dal policarbonato usato in prodotti alimentari e bevande ed è in grado di indurre alterazioni della funzionalità epatica, insulino-resistenza, alterazione del sistema riproduttivo e della funzionalità cerebrale, si comporta come un agonista per i recettori degli estrogeni, inibisce la trascrizione dell’ormone tiroideo e altera la funzionalità delle cellule beta del pancreas.

Gli studi realizzati ad oggi riguardano pochi alimenti, bisogna ampliare il numero e la tipologia e valutare il potenziale bio accumulo dei contaminanti assorbiti, verificare i potenziali effetti negativi sull’uomo. Ma siamo sicuri di voler aspettare dati certi??

Bisogna agire subito. I dati arriveranno.

Per approfondire l’argomento, una fonte tutta italiana è il libro “La dieta della plastica” di Pasquale Cioffi, che tratta il problema dell’esposizione ai veleni rilasciati dalle plastiche che sono a contatto con alimenti e bevande confezionate e fa un’analisi dell’impatto sulla salute umana correlato all’esposizione alle micro plastiche e nano plastiche che ingeriamo costantemente.

Ma se questo panorama può sembrare disastroso e alquanto pessimista, l’alternativa c’è. E la cosa positiva è che dipende dalla nostra volontà.

Ognuno può scegliere giornalmente di fare la differenza. A livello mondiale negli ultimi anni sono nati molti movimenti e gruppi zerowaste o plasticfree, che danno suggerimenti concreti di come fare a liberarsi piano piano dalla plastica. Ecco che i social diventano uno strumento utile di informazione e di stimolo al cambiamento. Oltre a fornire indicazioni pratiche su come ridurre nel quotidiano l’uso della plastica, vi è la possibilità di organizzare gruppi di raccolta rifiuti e prenderci cura del nostro pianeta. In Italia Cleyoci è una bacheca di attività di riqualificazione e pulizia del territorio, dove poter registrare gratuitamente i propri eventi e trovare quelli in programma, una vetrina no profit per la tutela del pianeta.

Zero Waste, una rete nata in diversi paesi che promuove una vita senza rifiuti, dal 3 al 9 giugno lancia la sfida di “Una settimana senza plastica”. Ma cosa vuole dire esattamente?

“Non usare plastica, non comprare plastica, non gettare plastica”. E’ la risposta della youtuber italiana, Francesca Ruvolo (sui social Wildflowermood), che qualche anno fa ha sfidato prima di tutto se stessa e intraprendendo questo viaggio plastic-free, e che della lotta alla plastica ha fatto uno stile di vita. Oltre a lei, sono tanti gli attivisti e le associazioni che stimolano e promuovono un cambiamento graduale e consapevole verso una vita il più possibile senza rifiuti. Altro esempio Will McCallum, responsabile di Greenpeace Uk ed autore di Vivere senza plastica, una piccola guida pratica per liberarsi da polistirolo, lattine, «stupide bottiglie», come dice lui, ponendo l’attenzione sulla natura consumistica dell’uomo.

Eliminare tutta la plastica in un solo giorno, in una settimana, in un mese può sembrare impossibile: ognuno partecipa con le sue possibilità e disponibilità, in modo che un piccolo cambiamento possa diventare abitudine. Se ci fermiamo un attimo a pensare, la plastica è recente, la sua storia nasce nel 1981

Qualche suggerimento per iniziare il cambiamento:

1- Usare una bottiglia riutilizzabile d’alluminio da riempire giornalmente con l’acqua;

2- Portare sempre con noi una busta di stoffa per fare la spesa (o un paio di cartoncini o cassette da tenere in auto)

3- Comprare prodotti sfusi e non imballati, preferendo produttori locali. Per gli alimenti secchi come frutta e verdura, legumi, frutta oleosa, farine utilizzate buste di stoffa o carta più piccole. Per carne e pesce chiedete di poter utilizzare une vaschetta di alluminio (lavabile e riutilizzabile), per i formaggi della semplice carta. La plastica aggiunta nell’imballaggio non solo è inquinante ma aumenta il prezzo finale del prodotto.

4- Quando non è possibile evitare la plastica, optare per prodotti riutilizzabili o ricaricabili, e non usa e getta che hanno un impatto maggiore sull’ambiente (alcuni prodotti come i rasoi, gli spazzolini da denti, le lamette…).

5- Sperimentare l’autoproduzione di alcuni alimenti, che oggi abbiamo dimenticato: pane verdure conservate, aceto, formaggi freschi, marmellate…

6- Sperimentare l’autoproduzione di prodotti per la casa: bastano pochi ingredienti per ottenere gli stessi risultati.

7- Sperimentare l’autoproduzione di prodotti per la cura del corpo come creme, balsami, shampoo, dentifricio, maschere. Oppure scegliete prodotti solidi, prodotti senza l’uso di petrolii e derivati e con packaging plastic free.

8- Utilizzate piatti, bicchieri, posate di alluminio, tovaglie e tovaglioli di stoffa.

9- Se fai l’aperitivo, non chiedere la cannuccia.

10- Non comprare capi sintetici che contengono plastica.

11- Fare correttamente la differenziata e non lasciare rifiuti nell’ambiente (scontato, ma vista la situazione tanto scontato non è!).

12- Se vedete un rifiuto per terra, raccoglietelo.

Ricordatevi che  “Il consumatore è quello che ha il potere di far prendere delle decisioni alle grandi aziende, quindi con le NOSTRE AZIONI davvero possiamo cambiare le cose.”

Accettate la sfida??

Fonti