La dieta universale ed ecosostenibile

Il 2019 si è aperto con degli avvenimenti importanti nel nome di uno stile di vita sano e in armonia con l’ambiente, tema che sta a cuore a noi Nutrizionisti per l’Ambiente e che cerchiamo di promuovere facendoci portavoce e testimoni tra le persone che incontriamo ogni giorno nel nostro lavoro. Tra qualche giorno a Bassano del Grappa si parlerà infatti di “Prosperità e Biodiversità” in un evento aperto a tutti, gratuito, straordinario per lo spessore e l’esperienza degli ospiti invitati, per il richiamo mediatico e l’importanza del tema trattato in generale e in particolare in una terra come il Veneto che viene segnalata come una delle regioni tra le più inquinate d’Europa e del Mondo, oltre ad essere un territorio nel quale si ha il più alto tasso di consumo di suolo d’Italia e tra i più alti del Pianeta; avremo il piacere di ascoltare le riflessioni di Vandana Shiva, nota ambientalista indiana, vincitrice nel 1993 del presidente di Navdanya International, organizzazione che si batte per cambiare pratiche e paradigmi nell’agricoltura e nell’alimentazione e di conoscere alcune possibili soluzioni pratiche ai problemi della produzione agricola, dello sfruttamento ed esaurimento delle risorse ambientali da parte di Salvatore Ceccarelli, professore associato di Risorse Genetiche e successivamente di Miglioramento Genetico alla Facoltà di Agraria dell’Università di Perugia che ha lavorato presso l’International Center for Agricultural Research in the Dry Areas (ICARDA) ad Aleppo in Siria ma anche in Giordania, Algeria, Etiopia, Eritrea, Yemen e Iran accanto agli agricoltori nel tentativo di conciliare l’aumento delle produzioni agricole, l’aumento della biodiversità e l’adattamento delle colture ai cambiamenti climatici.

Accanto a questo evento, espressione della scienza fatta sul campo, c’è la scienza della ricerca che lavora incessantemente con l’obiettivo di proporre sistemi alimentari capaci di nutrire tutti, salutari per l’uomo, amici del pianeta, e non violenti rispetto agli altri esseri viventi come descritto in un ampio articolo comparso nel febbraio scorso su Lancet, una delle riviste più prestigiose nel campo biomedico.

Si tratta di un grosso lavoro frutto della collaborazione triennale di una commissione di 37 esperti in diverse discipline come salute, nutrizione, sostenibilità ambientale, politica economica, che si è focalizzata sull’intero processo del food system dalla produzione al consumo con il fine di proporre delle soluzioni per soddisfare la popolazione attuale e i 10 miliardi di persone previsti per il 2050.

Nonostante la disponibilità globale di alimenti nel mondo sia aumentata dagli anni ‘50 del secolo scorso in avanti per garantire cibo e ridurre la povertà e la mortalità della popolazione in forte crescita, ci sono oggi più di 820 milioni di persone denutrite e un numero ancora maggiore di persone malnutrite affette da malattie croniche quali obesità, diabete, problemi cardiovascolari  e i casi di morti premature perché parallelamente all’aumento della quantità si è assistito ad un peggioramento della qualità con la diffusione di cibo insalubre: troppe calorie, troppi trasformati, troppi cibi di origine animale. Il dilagare di tali abitudini alimentari non ha portato danni solo all’uomo ma anche all’ambiente con aumento della produzione dei gas serra, eccessivo sfruttamento delle acque e del suolo, riduzione della biodiversità….

Come dovrebbe essere allora la dieta salutare per l’uomo e amica dell’ambiente?

Basandosi sugli studi esistenti, i pattern dietetici che sono associati ad un minor rischio di insorgenza di malattie croniche prevedono il consumo plurisettimanale di proteine vegetali rappresentate da legumi e semi oleosi (50 g al giorno tra fagioli, lenticchie, piselli (peso secco) e 25 g di soia, 50 g tra mandorle e noci) e di pesce (fino a 100 g al giorno) come fonte di omega 3, con l’opzione di inserire uova (fino a 1 e mezzo al giorno), una modesta quantità di carne bianca (fino ad un massimo di  400 g alla settimana e occasionalmente carne rossa meglio se non processata (fino  ad un massimo di 200 g) e 250 g tra latte e formaggi al giorno; i grassi dovrebbero entrare nella dieta sottoforma di olii vegetali insaturi (olio di oliva in primis, circa 4 cucchiai al giorno) e in misura minori di saturi come olio di palma, colza, mentre andrebbero banditi quelli idrogenati come le margarine; i carboidrati dovrebbero essere rappresentati prevalentemente da cereali integrali in chicchi (circa 200 g al giorno), 50 g di tuberi e radici mentre l’apporto di zuccheri semplice dovrebbe essere ridotto a meno del 5% delle calorie totali (corrispondenti a 25 g al giorno circa 5 cucchiaini); infine viene confermato il ruolo prevalente di verdura e frutta con almeno 5 porzioni al giorno (per un totale di 500 g, 300 g di verdura e 200 g di frutta).

Poche regole generali e la scelta del tipo di alimento nell’ambito di ciascuna categoria lasciata ai gusti personali, le tradizioni culturali e le tipologie di coltivazioni prevalenti del proprio territorio. Sembra facile ma per la maggior parte degli stati mondiali “mettersi al passo” con le raccomandazioni della ricetta della dieta universale corrisponde a ridurre di oltre il 50% il consumo di proteine animali e aumentare di oltre il 100% quello di alimenti quali legumi, cereali integrali e semi oleosi.

Per quanto riguarda l’aspetto della sostenibilità ambientale della dieta, la Commissione ha misurato l’impatto dei sistemi di produzione dei diversi alimenti come riduzione di emissione dei gas serra, cambiamento di destinazione d’uso dei terreni, sfruttamento del suolo e dell’acqua e perdita della biodiversità. In termini di emissioni di gas serra (metano, anidride carbonica, ossido nitroso), i cui paletti sono stati fissati in modo da rispettare il limite massimo di 1,5- 2 gradi di aumento di temperatura fissato per il 2100 nell’Accordo Internazionale di Parigi sul clima, molti studi hanno evidenziato come un cambiamento delle abitudini alimentari verso una dieta che privilegia cibi di origine vegetale piuttosto che animale potrebbe ridurre le emissioni nel 2050 fino all’80% di quelle attuali contro solo il 10% di riduzione che si otterrebbe dal cambiare le pratiche di coltivazione (come l’irrigazione, la fertilizzazione, miglioramento delle condizioni di allevamento dei bovini, del tipo di mangimi e degli additivi aggiunti) in quanto alcuni di questi aspetti come ad esempio la produzione del gas metano ad opera della fermentazione dei ruminanti non può essere modificata se non solo con la riduzione del consumo di carne. I cambiamenti d’uso dei terreni (ad esempio da foreste a terreni coltivati) dipendono dalla produttività agricola, che è funzione della tipologia di coltivazione e quindi in ultima analisi sono guidati dalle scelte alimentari del consumatore, non possono essere ridotti in maniera significativa solo riducendo il consumo di cibo di tipo animale soprattutto di allevamento al cui sostentamento sono destinati gran parte dei terreni coltivati ma anche cercando di migliorare le pratiche di coltivazione in modo da ridurre per molte varietà  il gap tra le rese attuali e quelle potenzialmente raggiungibili (come per esempio nel caso dei legumi per i quali le rese sono molto variabili) e dimezzando lo spreco e la perdita di cibo. Sul discorso sfruttamento dell’acqua e del suolo, anche in questo caso i risultati più decisivi si potrebbero ottenere non tanto dal passaggio da consumo prevalente di  cibi animali a quello di vegetali perché tra quest’ultimi, soprattutto i legumi e i semi oleosi, richiedono un grande consumo di acqua, bensì attraverso miglioramenti nelle tecniche di irrigazione e riduzione della perdita e dello spreco del cibo; l’eccesso di fosforo e azoto riversato nella biosfera che si verifica a seguito dell’uso massivo di fertilizzanti può essere ridotto attraverso una loro applicazione più razionale che includa il riciclo del fosforo attraverso ad esempio lo sfruttamento dei liquami, sfruttando la quota prodotta attraverso gli allevamenti e mediante un riequilibrio tra luoghi dove il minerale è sovrautilizzato e quelle in cui è carente. L’ultimo aspetto riguarda la perdita di biodiversità che è strettamente legata all’espansione delle terre coltivate e potrebbe essere ridotta di oltre il 90% restringendo o privilegiando la trasformazione in aree coltivate di piantagioni o di foreste già registrate o altri habitat antropizzati piuttosto che di habitat ancora naturali, migliorando le tecniche di coltivazione riducendo così la necessità di sfruttamento di nuove superfici, e dimezzando lo spreco di cibo; l’adozione della stessa dieta universale in territori dove molti degli alimenti suggeriti non sono originariamente coltivati potrebbe andare a discapito della biodiversità, situazione che potrebbe essere risolta rivedendo e privilegiando, tra gli alimenti consigliati quelli “di casa” e favorendo il commercio e lo scambio tra territori molto produttivi ma a bassa biodiversità e quelli molto ricchi di varietà ma di basso impatto produttivo oltre a favorire dove possibile la nascita di aree protette in zone particolarmente ricche di biodiversità.

Traducendo queste proposte dal livello fruibile da parte di istituzioni e governi a quello perseguibile nel quotidiano dal singolo individuo, come potremmo rendere il nostro stile di vita più sano e sostenibile? Sicuramente riducendo il consumo di prodotti animali in generale e di allevamento in particolare, dando spazio, nella nostra cucina, ai prodotti del nostro territorio e soprattutto cercando di ridurre lo spreco e la perdita di cibo e di acqua; ciò è ottenibile lasciando spazio alla creatività e cercando di usare in cucina tutte le parti del cibo anche quelle che siamo soliti scartare (come per esempio preparare il dado granulare con gambi del cavolfiore, la parte verde del porro, le bucce delle rape) e adottando, piccoli, semplici accorgimenti per arginare il consumo dell’acqua come fare la doccia e non il bagno, chiudere sempre il rubinetto mentre ti insaponi (i denti, le mani, i capelli), utilizzare un bicchiere e non l’acqua corrente per sciacquare i denti, riutilizzare l’acqua della pasta per le piante (se non è salata), per allungare pesti, come base per minestre, per l’ammollo dei legumi (se non è salata).

Fonte: Willett W. et la. Food in the Anthropocene: the EAT-Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems. Lancet 2019; 393 (10170): 447-492