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Quello che le aziende non dicono…

nutellaMi sveglio, preparo una delle mie colazioni preferite, il porridge con mela e cannella, e un immancabile caffè amaro. Apro il computer, accedo alle mail e … resto sorpresa e perplessa: una mail dalla Direzione scientifica di Ferrero, la nota azienda italiana, di fama internazionale.

Leggo, segue un breve confronto con gli altri membri NUPA e scopro che l’hanno ricevuta anche loro. La mail inizia con “Da 70 anni la qualità prima di tutto” e di seguito viene difeso l’utilizzo dell’olio di palma affermando che l’azienda si preoccupa della qualità di tutta la filiera, a partire dalla sicurezza igienica fino all’attenzione per la sostenibilità ambientale. La Ferrero scrive, sempre in riferimento all’olio di palma: “ ha delle qualità uniche per conferire la giusta struttura ai prodotti e assicurare un’eccellente esperienza organolettica nel tempo; per questo selezioniamo e spremiamo i frutti appena colti in tempi ridotti e lavoriamo l’olio a temperatura ottimale e controllata“ e ancora “è importante sottolineare che le ricerche mediche più rigorose e di qualità concordano che l’olio di palma di qualità controllata è un alimento parte di una dieta equilibrata, senza indurre aumento di rischi legati alla salute”.

Proseguendo la lettura mi ritrovo nel loro sito dove viene rimarcata la qualità delle materie prime. Sull’olio di palma viene evidenziato che non provoca danni alla salute e che addirittura, visto il crescente fabbisogno di grassi nella popolazione mondiale dovuto alla continua crescita demografica, l’olio di palma è una fonte perfetta!

Ferrero fa riferimento alle nostre linee guida che dicono che il fabbisogno quotidiano di grassi saturi non deve superare il 7 – 10% dell’apporto calorico totale. Se consideriamo un uomo medio che assume 2000 kcal al giorno significa che non dovrà assumere più di 200 kcal da grassi saturi (cioè circa 22 g).

Ora, 100 g di olio di palma contengono 47 g di grassi saturi, quasi come il burro (48 g), ma nessuno si sognerebbe mai di consigliarvi di consumare quasi 50 g di burro al giorno! Certo, bisogna considerare la dieta nel suo complesso, quindi facciamo i conti della serva. Si raggiungono circa 20g di grassi saturi mangiando in una giornata: 200 g di yogurt bianco (mezzo vaso grande per intenderci), 3 uova o 220 g di sgombro, 4 noci, 30 mandorle, 60 g di olio di oliva extravergine (circa 6 cucchiai) ed eventualmente 10 g (1 cucchiaino) di burro di malga.

Tanto per avere un’idea, la stessa quantità di grassi saturi (circa 22g) si raggiunge consumando circa 10 merendine contenenti olio di palma, latte e burro.

Anche ammesso che il 10% di grassi saturi giornalieri sia accettabile (a mio avviso un po’ troppi!), si possono raggiungere anche senza olio di palma. Mi chiedo perché, se proprio uno vuole abbondare di grassi saturi, non siano da preferire prodotti più locali e naturali come del burro o della ricotta di malga, uova di galline che vivono libere, pesce, frutta secca e olio di oliva extravergine.

Non mi dilungo oltre sulla questione “olio di palma”, già ampiamente trattata in diversi siti, anche perché non credo sia questo il punto. Credo che una piccola quantità di olio di palma assunta ogni tanto non uccida nessuno, come non uccide nessuno mangiare in quantità molto limitate degli affettati, formaggi, burro, dolci, patatine fritte, alcolici e quant’altro, ma sicuramente non dovrebbe essere consigliato quotidianamente, come fonte buona di grassi e come “salvezza per la fame nel mondo” (come suggerisce Ferrero), soprattutto se messo all’interno di cibi cotti ad alte temperature e ricchi di zucchero e farine bianche! Tra l’altro gli studi riportati dalla Ferrero sono finanziati dall’azienda stessa! Forse il polverone scatenato dall’olio di palma serve a distogliere l’attenzione da qualcos’altro?

Non ci è dato saperlo, ma non riesco a non collegare questo caso ad un articolo recentemente pubblicato sul JAMA Internal Medicine in cui gli autori hanno esaminato documenti interni della Sugar Research Foundation o SRF (Fondazione per la ricerca sullo zucchero) che riguardavano il legame tra alimentazione e malattie cardiovascolari. I ricercatori hanno scoperto che l’industria dello zucchero ha finanziato dei progetti di ricerca per far sì che la colpa delle malattie cardiovascolari venisse imputata ai grassi anziché agli zuccheri!

Le prime evidenze che correlavano lo zucchero alle malattie cardiovascolari risalgono agli anni ‘50. Nel ’65 venne pubblicata una revisione sul New England Journal of Medicine in cui i grassi e il colesterolo venivano evidenziati come cause di malattie cardiovascolari, mentre veniva omesso che lo zucchero era a sua volta un fattore di rischio. La SRF finanziò e contribuì allo studio ma il conflitto d’interesse non fu dichiarato (all’epoca non era obbligatorio). Insieme ad altre recenti analisi sui documenti dell’industria dello zucchero è emerso che la SRF ha finanziato un progetto di ricerca dagli anni ’60 ai ’70 che aveva l’obiettivo di mettere in dubbio gli studi sulla pericolosità dello zucchero e promuoveva come causa i grassi. In pratica la fondazione ha corrotto degli scienziati per far sì che arrivassero alla “giusta” conclusione.

Nel ’54 il presidente della fondazione Henry Haas durante un discorso affermò che riducendo il consumo di grassi nazionale quelle calorie sarebbero state recuperate sotto forma di carboidrati e il consumo di zuccheri sarebbe aumentato più di un terzo. La parte grassa di un alimento è ciò che lo rende appetibile, apprezzato dal consumatore. Se l’industria è costretta a ridurre i grassi dovrà aumentare il contenuto di zuccheri per rendere l’alimento altrettanto buono. Ecco perché i prodotti “light” in realtà non aiutano il dimagrimento: hanno più zuccheri e si tende anche a mangiarne di più perché saziano meno e perché pensiamo che non ci faranno poi così male.

 

Per ora sappiamo che un consumo costante di zucchero aumenta il colesterolo cattivo a sfavore di quello buono, aumenta il rischio di obesità, di insulino-resistenza e diabete, sottrae vitamine e minerali al corpo e abbassa le difese immunitarie. Inoltre, i picchi di insulina legati al consumo di zuccheri semplici e farine bianche a lungo andare possono aumentare le malattie cardiovascolari, il grasso corporeo, può aumentare il rischio di tumori tramite il rilascio del fattore di crescita IGF-1, aumentare l’infiammazione e sbilanciare l’equilibrio ormonale.

Noi NUPA, come tanti altri nostri colleghi, promuoviamo da tempo un’alimentazione naturale, che si allontani il più possibile da alimenti confezionati e trattati a livello industriale. Sappiamo che in generale le grandi industrie hanno più a cuore il loro portafoglio che non la nostra salute, ma resto ancora allibita dal fatto che esistano ricercatori che si prestano a questo scopo, proprio loro che dovrebbero essere i paladini della verità.

Diventa davvero difficile anche per noi professionisti gestire le varie informazioni, cercare di capire la qualità degli studi scientifici e comunicare i risultati al grande pubblico in modo semplice ed efficace, ma è ancor più difficile per il consumatore barcamenarsi tra tutte queste contraddizioni e scegliere cosa mettere in tavola. Forse la strada migliore, arrivati a questo punto, è seguire il nostro buon senso, pensare a cosa ci offre la natura, in diversi momenti dell’anno, e cercare di attenerci il più possibile all’alimento di origine.

2 Risposte all'articolo “Quello che le aziende non dicono…”

  1. Otello
    8 Novembre 2016 - 08:51

    Siete fantastici, continuate così.
    Grazie per i vostri preziosi consigli….
    “che il cibo sia la nostra medicina…e la medicina sia il nostro cibo “

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  2. Rudy
    8 Novembre 2016 - 11:49

    Ottimo articolo! interessante soprattutto a fronte della pubblicità che la Nutella sta facendo sulla salvaguardia dell’olio di palma, ottenuto sì a freddo ma ovviamente durante le fasi di produzione sicuramente viene portato a temperatura di cottura e quindi cancerogeno. Grazie mille per l’informazione che state facendo, davvero molto molto utile!

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