Settembre 5, 2016 / Articoli
Il microbiota intestinale e la nostra salute: alleati o avversari?
(a cura della dott.ssa Roberta Franceschini)
Diventiamo consapevoli della presenza di microrganismi che proliferano nel nostro corpo (indicati complessivamente dagli addetti ai lavori con il termine di microbiota) quando disgraziatamente veniamo colpiti dai batteri della diarrea o prendiamo un antibiotico e il medico ci consiglia di assumere dei fermenti lattici. In realtà, noi condividiamo il nostro corpo con una sterminata comunità di microrganismi (100 trilioni di cellule batteriche contro i 10 trilioni di cellule umane) che vivono in simbiosi con noi come avviene in un “ecosistema”: in cambio di riparo e nutrimento, scompongono per noi il cibo, demoliscono le sostanze tossiche, allenano il sistema immunitario e producono anche sostanze del tutto nuove tra cui vitamine, acidi e grassi: sono piccoli produttori.
Negli ultimi dieci anni, studi comparsi nelle riviste più autorevoli, hanno rilevato come alterazioni nella composizione (numero e varietà dei batteri) del microbiota intestinale si accompagnano a sovrappeso, malnutrizione, malattie nervose, stati depressivi e malattie infiammatorie intestinali. Queste alterazioni sono indotte dal nostro stile di vita.
Ma da dove provengono i batteri, li abbiamo sempre avuti, sono sempre gli stessi o cambiano nel tempo?
Veniamo in contatto con i microbi già in pancia grazie al passaggio dall’apparato gastrointestinale materno attraverso la barriera placentare anche se il “il grosso dei batteri” lo acquisiamo durante e dopo la nascita e la composizione finale del microbiota dipenderà dal tipo di parto, dal tipo di allattamento, dai contatti con l’ambiente circostante e dall’utilizzo di antibiotici. Dallo svezzamento in poi, il mondo dei batteri subisce una continua rivoluzione a seguito del cambiamento della composizione degli alimenti fino a raggiungere (intorno ai tre anni) una “struttura” piuttosto stabile che rifletterà lo stile di vita e il nostro stato di salute sarà tanto più duraturo tanto più avremo sviluppato un microbiota sufficientemente vario perché (proprio come avviene in ogni altro ecosistema del pianeta) quanto migliore sarà la biodiversità, tanto migliore risulterà essere la capacità da parte dell’ecosistema di reagire alle aggressioni esterne e di ripristinare eventualmente la propria funzionalità. Si osserverà comunque la prevalenza di alcuni ceppi su altri: i batteroidi ad esempio, sono la famiglia più abbondante nell’intestino di coloro che si nutrono prevalentemente di carne e grassi saturi e poca fibra mentre i Prevotella si trovano soprattutto nei vegetariani o carnivori moderati. Avere la prevalenza di una famiglia significa integrare le caratteristiche scritte nel nostro genoma e modificate dall’ambiente in cui viviamo con “nuove capacità”. Ad esempio pare che avere una prevalenza nell’intestino di Firmicutes (specie di batteri appartenenti alla famiglia dei Batteroidi) a spese dei Prevotella, sia associata alla capacità dell’individuo di assimilare maggiormente i nutrienti presenti nei cibi introdotti con la dieta (si riduce la quota non metabolizzata) e che questo, associato alle caratteristiche genetiche dell’ospite, porti a sviluppare una condizione di obesità.
La composizione del microbiota sembra aver influenza sulla comparsa di malattie infiammatorie intestinali (in cui prevalgono i ceppi di Escherichia Coli), malattie neurodegenerative (per la produzione di endotossine batteriche associate ai processi infiammatori legati all’amiloidosi e alla malattia di Alzheimer), malattie cardiovascolari (per la produzione di sostanze pro-aterosclerotiche), addirittura sarebbe in grado di ridurre la produzione del colesterolo ematico. Un altro dato interessante è la correlazione tra malattia parodontale e i batteri che ne sono la causa con un aumento delle concentrazioni di colesterolo totale, della sua frazione LDL e dei trigliceridi circolanti.
Quindi noi ereditiamo alla nascita un determinato “corredo batterico” e nel corso della vita, questo cambierà arricchendosi di alcune specie a seconda delle abitudini che adotteremo (dove viviamo e con chi veniamo in contatto, come ci alimentiamo). Tutte queste variazioni avranno un certo peso sul nostro stato di salute arrivando talvolta a sovvertire alcune predisposizioni scritte nel nostro DNA.
Come possiamo quindi modificare la composizione del microbiota per mantenere il nostro stato di salute?
Impariamo ad assumere gli antibiotici quando servono e per il tempo opportuno: essi infatti distruggono in modo indiscriminato tutti batteri (buoni e patogeni) ed è poi necessario molto tempo (anche qualche anno a seconda della durata e della frequenza della cura) perchè il microbiota intestinale ritorni ad avere una struttura stabile; assumiamoli almeno per una decina di giorni in modo da avere un ragionevole margine di sicurezza che tutti o quasi i patogeni (anche quelli più resistenti) siano stati eliminati. Tutti i giorni si può contribuire al mantenimento di uno stato di salute agendo sulla dieta, privilegiando quegli alimenti che favoriscono la sopravvivenza e la crescita dei batteri “buoni”: alimenti ricchi in fibre vegetali solubili e quindi verdura e frutta in genere e in particolare carciofi, asparagi, cardi, finocchi, broccoli, cavoletti di Bruxelles, porri, cipolle, carote, cicoria, banane, mele, prugne, fichi, kiwi, semi oleosi (noci, mandorle, nocciole o noci brasiliane) affiancati da cereali quali riso integrale (che a differenza di orzo, farro, segale, avena e kamut, non possiede glutine, il quale rappresenta un nemico dell’intestino). Al contrario vanno ridotti zucchero, pasta bianca, farina bianca latticini e carne (in particolare se provenienti dalla grande distribuzione). Oltre a ciò, è importante prestare cura all’approvvigionamento degli alimenti che deve essere il più possibile biologico per ridurre il rischio di contaminazioni “chimiche” che hanno un effetto deleterio sui nostri batteri intestinali e sono responsabili dello sviluppo delle resistenze.
Sarebbe opportuno consumare una certa quota di cibi che naturalmente contengano batteri benefici quali yogurt, kefir, crauti, giardiniere, miso, tempeh, kombucha, prugne umeboshi etc. Si tratta di cibi fermentati in cui durante il processo si liberano acidi che oltre a modificare il sapore di questi alimenti, creano un ambiente ostile al proliferare delle specie patogene. Purtroppo la varietà di batteri che si trovano nei cibi fermentati è fortemente diminuita come conseguenza dell’industrializzazione che ha imposto l’impiego di batteri selezionati in laboratorio a vantaggio di una standardizzazione del gusto.
Meglio ricercare le ricette casalinghe di alimenti fermentati, alcune anche molto semplici, per preparare in casa ad esempio lo yogurt, le verdure fermentate, il kefir d’acqua.
Links di approfondimento:
L’intestino felice di Giulia Enders, Sonzogno editore
Sommer & Backhed, Nature 2013
Lozupone et al, Nature 2012
Thum et al, J Nutr 2012
Ley et al, Nature 2006
Kau et al, Nature 2011
Rautava et al, Nat Rev Gastroenterol Hepatol, 2012