Chi ci salverà dai pesticidi?

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Ormai è palese: l’interesse per l’agricoltura biologica è in aumento e in generale il pubblico è più attento e consapevole alla salvaguardia dell’ambiente e della propria salute, che per altro sono strettamente collegati.

Ci si avvicina sempre più alle pratiche naturali, stando attenti alle sostanze chimiche utilizzate in prodotti “non bio”, nell’agricoltura, e quindi nel cibo, quanto nella cosmesi o nell’industria in generale.

Sempre più spesso le aziende lanciano nuovi prodotti “bio” o “naturali”, perché il consumatore lo richiede!

Come consumatori siamo più informati e ormai abbiamo capito quanto pesantemente queste sostanze chimiche possono influire negativamente sul nostro benessere.

In un comunicato stampa del 30 gennaio 2015, l’Associazione Medici per l’Ambiente-ISDE Italia ha ribadito che: “Non solo l’esposizione a pesticidi comporta gravi ed irreversibili alterazioni a carico dell’ambiente e della biodiversità, ma può anche correlarsi a gravi conseguenze sulla salute umana.

Questi effetti, già evidenziati in passato nelle categorie esposte professionalmente, colpiscono oggi tutta la popolazione umana, visto l’utilizzo sempre più massiccio e diffuso di questi agenti in ogni parte del pianeta. Le conseguenze di tali esposizioni possono rivelarsi particolarmente gravi – anche a basso dosaggio -, in particolare, se questi prodotti vengono assunti nel periodo embrio-fetale o nella prima infanzia, vanno ad aumentare il rischio di danni cerebrali e di malattie che possono manifestarsi anche nelle fasi più tardive della vita di un individuo (cancro, malattie respiratorie, malattie neurodegenerative, autismo, deficit di attenzione e iperattività, diabete, disordini riproduttivi, malformazioni fetali, disfunzioni tiroidee)”.

L’ISDE, inoltre, esprime la più viva preoccupazione, relativa alla pratica, divenuta ormai consuetudine, di concedere deroghe a sostanze vietate in agricoltura. Proprio in questi giorni, la Regione Veneto ha consentito l’utilizzo di alcuni prodotti per l’agricoltura (Glufosinate ammonio, fungicidi a base di Mancozeb e una miscela di Fluopyram e Tebuconazolo) il cui utilizzo era stato sospeso per la loro tossicità. Quello che salta all’occhio, in particolare, è che il Glufosinato ammonio, una sostanza usata per la preparazione di diversi erbicidi come il Basta, il Rely, il Finale, il Challenge e il Liberty, è stato approvato in deroga come erbicida, sulle coltivazioni di actinidia (pianta del kiwi), melo, pero, drupacee (es. pesco, susino, albicocco, mandorlo, ciliegio) che hanno meno di 3 anni e su coltivazioni dello stesso tipo inserite nei programmi Frutta per l’infanzia o Baby Food […] per la bassa residualità della sostanza attiva”.

In pratica, sulla frutta appositamente coltivata per i nostri bambini verrà spruzzata una molecola che la PANAP (Pesticide Action Network Asia and the Pacific) nella monografia del 2008, ha dichiarato avere “rischi inaccettabili per l’uomo, soprattutto per lo sviluppo neurologico del feto, la biodiversità agricola e l’ambiente” e “rischio inaccettabile per gli operatori esposti durante l’irrorazione sulle colture, anche qualora gli operatori siano protetti da appositi indumenti”.

La PANAP afferma, inoltre, che “le formulazioni (miscele) sono più tossiche per l’uomo e per le acque rispetto alla singola sostanza, ma poche informazioni sono pubblicamente disponibili riguardo gli altri ingredienti (inerti o adiuvanti) presenti nell’erbicida”.

Inoltre, la KEMI (Swedish Chemicals Agency) ha proposto le seguenti dichiarazioni di rischio per il glufosinato:

  • Dannoso: pericolo di seri danni alla salute da esposizione prolungata se ingerito.
  • Tossico: pericolo di seri danni alla salute da esposizione prolungata per inalazione.
  • Può causare danni al feto.
  • Possibile rischio di problemi di fertilità.
  • Pericoloso per l’ambiente.
  • Tossico per gli organismi acquatici, può provocare danni a lungo termine all’ambiente acquatico.
  • Indossare indumenti protettivi.
  • Durante l’irrorazione indossare le apposite apparecchiature per la respirazione.

Sempre nella monografia sono riportati i danni a breve e a lungo termine del glufosinato: gli effetti di tossicità acuta sono principalmente gastrointestinali (nausea, vomito, dolori addominali e diarrea) seguiti dalla comparsa di problemi neurologici come convulsioni e coma fino a portare all’insufficienza respiratoria e collasso circolatorio. A lungo termine invece, può provocare danni neurologici e influire sulla riproduzione, questo perché è strutturalmente simile ad un neurotrasmettitore, il glutamato, e interferisce con le sue funzioni.

Ne risulta particolarmente esposto il cervello di individui in età di sviluppo, inoltre l’erbicida ha seri effetti sullo sviluppo precoce dell’embrione con danni al cervello e al tubo neurale e può essere causa della perdita di molti feti o provocare, ad esempio, il labbro leporino.

Vengono anche riportati effetti transgenerazionali, cioè trasmessi anche alle generazioni future.

Alla luce di queste evidenze, viene da chiedersi come mai le istituzioni che dovrebbero occuparsi della sicurezza nostra e dei nostri bambini, ci espongano ad un tale rischio…

La risposta sembra ovvia: ci sono sempre di mezzo interessi economici di grande aziende chimico-farmaceutiche.

Non possiamo sapere se e quanto erbicida resterà nella frutta o in altri alimenti, non possiamo nemmeno sapere se e quali metaboliti secondari si formeranno e come agiranno in sinergia, o nell’ambiente circostante, sugli animali e sull’uomo, poiché non ci sono studi condotti con coctails di sostanze.

I bambini, oltretutto, hanno un metabolismo diverso dall’adulto, metabolizzano le sostanze chimiche in altro modo (il fegato e i reni non sono ancora ben formati) e bisogna tener conto che i valori soglia, che di solito vengono calcolati per un generico uomo di 70 kg, devono essere abbassati per un bambino che magari ne pesa appena 10!

Perché approvare l’utilizzo potenzialmente dannoso di un prodotto chimico su colture destinate alla prima infanzia? È un vero controsenso (per non dire crimine).

Perché non incentivare l’agricoltura biologica e biodinamica e fare in modo che diventi di più facile applicazione anche per i piccoli produttori locali che non si possono permettere le certificazioni?

Perché non incentivare il consumo di prodotti di stagione, che non devono fare migliaia di chilometri e che hanno meno necessità di pesticidi proprio perché crescono nel momento a loro più congeniale?

La scusa che il biologico non rende allo stesso modo del convenzionale non regge più: se gli ettari destinati a monocolture intensive o a grandi allevamenti di animali venissero utilizzati in modo intelligente e sostenibile ci sarebbe sufficiente cibo biologico (leggi “privo o a basso contenuto di pesticidi”) per tutti, e in ogni caso la quantità di cibo non è tuttora un problema, ma piuttosto lo è la gestione della sua distribuzione (si veda, ad esempio, quanta frutta e verdura viene gettata ogni giorno soltanto perché il suo aspetto non rientra nei canoni estetici commerciali). In questo modo il prezzo dei prodotti biologici sarebbe più competitivo e ricordiamo che, ad ogni modo, si può risparmiare molto prediligendo “materie prime” piuttosto che alimenti già confezionati (es. cereali integrali in chicco piuttosto che sotto forma di pasta).

Ancora una volta, non possiamo far altro che informarci e dare il buon esempio: acquistando consapevolmente, prediligendo cibi sani (frutta, verdura, cereali integrali, legumi e semi oleosi), biologici, il più possibile di produttori locali e sempre di stagione, riusciremo a far breccia sul mercato globale… un passo alla volta!

Una risposta all'articolo

  1. Massimo
    12 Maggio 2015 - 09:04

    Complimenti per gli splendidi aticoli sempre interessantissimi, ma volevo porre una domanda, io e la mia famiglia siamo dei convinti consumatori di prodotti biologici e biodinamici, crediamo che ci siano aziende consapevoli che possa esistere un mercato parallelo, in misura minore, di produzione consapevole, ma questo veramente deve essere nel “DNA” di questi agricoltori, noi clienti possiamo solo affidarci alle certificazioni presenti sulle etichette dei prodotti, ecco proprio questo che è il mio dubbio, queste etichette, il discorso che ogni giorno molti amici e conoscenti che sanno il mio pensiero, mi bombardano di perplessità su questo tipo di scelta, un piccolo esempio, mio zio apicoltore a livello molto artigianale, asserisce, che suoi amici apicoltori nel circuito BIO , certificati, utilizzano antibiotici per curare malattie, lui, per volontà e passione per ciò che fà, non li utilizza, ora mi chiedo ma allora chi fa i controlli, chi certifica il prodotto, con quali standard lavora ? Insomma come noi clienti possiamo essere tutelati, spendendo molto di più acquistando prodotti BIO e poi magari sono “Poco BIO” ?
    Vi ringrazio e mi complimento per il blog
    Massimo

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